Viviamo in un’epoca frenetica, in cui il lavoro sembra spesso dominare la nostra vita. Le lunghe ore trascorse in ufficio, le scadenze sempre più stringenti e la pressione costante, possono mettere a dura prova il nostro benessere mentale e fisico. In questo contesto trovare un equilibrio tra lavoro e vita personale diventa essenziale per condurre un’esistenza appagante e sana.
Tuttavia, coniugare le diverse aree della propria vita sembra diventare un compito sempre più complesso e questo provoca ripercussioni tanto sulla propria salute quanto sullo stesso rendimento lavorativo. Questo fenomeno è così diventato di interesse della psicologia del lavoro, che ha definito il concetto di “Work-Life Balance”, ovverosia la distribuzione equa del tempo e dell’energia tra il lavoro e gli aspetti personali della vita di ognuno. Significa, dunque, trovare un punto d’incontro tra le esigenze della carriera e quelle della vita familiare, delle passioni e del benessere in generale. Va sottolineato, però, che una buona capacità gestionale non implica necessariamente un equilibrio perfetto in ogni momento, ma piuttosto la capacità di gestire le priorità in modo che il lavoro e gli impegni non soffochino completamente la vita personale.
Quello di cui si prova a parlare, quindi, appare senza dubbio un concetto giusto e al quale ogni lavoratore vorrebbe aspirare, ma a questo punto il lettore potrebbe pensare che questo bilanciamento non sia sempre possibile e che la scelta di come gestire il proprio tempo dipenda dagli impegni della propria vita. E’ proprio qui che emerge un tassello importante, perché quello su cui si vuole, in questo articolo, porre l’attenzione è il fatto che spesso si percepisce tutto questo come qualcosa che va oltre il proprio volere e su cui non si ha potere, per quanto numerose sono le attenzioni che si possono porre per migliorare questo equilibrio.
Alla base di questo discorso potremmo individuare una premessa fondamentale sul ruolo della nostra cultura, ovverosia l’idea fondamentale del sacrificio come veicolo di grande rispetto verso di sé. Viviamo in una società in cui mettere da parte se stessi per l’altro viene visto con grande ammirazione e il dare priorità ai propri bisogni come un terreno fertile per la critica e il giudizio. Questo tipo di modo di rapportarsi ai propri ruoli può portare, ancora più comunemente nelle donne, all’effetto “Sandwich”.
Si tratta di un fenomeno che si manifesta nel momento in cui una persona si sente mossa da grandi responsabilità in diversi contesti, rimanendo schiacciata tra le spinte dei propri ruoli che ricopre in essi. Ad esempio, un individuo può sentire delle responsabilità nella gestione della casa, nella cura magari di genitori malati o anziani, nella gestione scolastica e post-scolastica dei figli e in quella lavorativa. Ognuna delle cose citate possono essere dei richiami da parte dei propri ruoli a cui è giusto poter rispondere, ma che spesso ingabbiano al punto da eludere la possibilità di guardarsi intorno e cercare altre figure deresponsabilizzate che potrebbero sostenere allo stesso modo quella gestione. Un esempio potrebbe essere una madre nella gestione dei figli e della casa rispetto ad un padre o una sorella nella cura dei genitori anziani rispetto ad un fratello.
Risulta molto complesso parlare quindi di work-life balance nel momento in cui non si ha un momento per sé al di fuori di ruoli che spingono verso il “dover fare”e si ha difficoltà a riconoscere e/o agire una responsabilità condivisa.
Chiediamo quindi al lettore di questo articolo: sapresti delegare all’altro le sue responsabilità nel momento in cui questa delega non implica nessuno svantaggio per chi necessita attenzioni? Non è raro vedere genitori sentirsi in colpa per non aver portato con sé fuori dalle mura domestiche il figlio in un momento di piacere personale o dedicato alla coppia. Nell’esempio appena citato, un eventuale bambino lasciato alla nonna o con una babysitter non vivrebbe necessariamente un torto, piuttosto potrebbe ritrovare un genitore più sereno e che riuscirebbe a passare del tempo qualitativamente più coinvolgente con lui.
Allora perché sembra così faticoso chiedere il supporto dell’altro? Delegare e/o appoggiarsi senza farsi carico di tutto?
Non può esistere una risposta univoca a questa domanda, ognuno è mosso da dinamiche personali diverse e da costrizioni che probabilmente neppure riesce a vedere. Il rischio di ciò, però, è che alla fine si possa perdere di vista se stessi all’interno di questi tanti ruoli o che il lavoro/dovere riempino tutto la spazio dei propri pensieri o che la famiglia diventi l’unica realtà a cui affacciarsi e che l’insoddisfazione prenda il sopravvento togliendo ogni cosa positiva da ognuno di quei vissuti.
Cosa fare per disinnescare questi meccanismi?
Imparare ad ascoltarsi, a comprendere i propri bisogni, capire come in alcuni momenti sia possibile sottrarsi e condividere le responsabilità che sentiamo solo su di noi con gli altri. Quando questo avviene allora è possibile entrare nell’ottica che sacrificare se stessi all’estremo delle proprie risorse non può essere una soluzione sana né per sé e né per chi ci sta vicino. È importante guardarsi attorno e cercare cura e sostegno, perché non c’è mai un momento in cui si smette di esistere come singoli individui.
Un Saluto da:
“Una Stanza per Sé: servizi per il benessere psicologico”, studio di psicologia.
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