Questo articolo intende accompagnare il lettore genitore verso una riflessione di estrema importanza: il modo di rappresentarsi la relazione con il proprio figlio/a.
Viene spontaneo etichettare il proprio bambino o ragazzo con il pronome possessivo “mio o mia”, un termine che racchiude però molte sfumature. Se volessimo qui porre una classificazione principale, infatti, vedremmo una netta distinzione tra ciò che viene vissuto come una “proprietà” e quindi come qualcosa su cui si può esercitare un controllo e ciò che appartiene perché fa parte della propria storia di vita e per questo è ritenuto importante e da tutelare.
Una genitorialità responsabile e sensibile tendenzialmente rappresenta il proprio figlio nel secondo scenario. Si tratta di una visione dell’appartenenza che vede l’altro come un essere che va accudito all’interno del “proprio” gruppo, la famiglia, con cui condividere la dimensione dello stare insieme, in modo sicuro e piacevole. Famiglia, inoltre, che sceglie di assumersi la responsabilità di accompagnarlo verso una vita autonoma e rispettosa dei propri bisogni.
Talvolta, però, può essere complicato mantenere questo grado di attenzione rispetto alle necessità della propria progenie senza contaminare quello che è il delicato confine relazionale tra genitori e i figli. Ogni individuo, infatti, porta con sé aspettative e bisogni di riconoscimento che possono condurlo inconsciamente a scavalcare le aree di vita dell’altro, soprattutto se l’altro è un bambino o un ragazzo che da lui sta imparando a riconoscere ciò che è proprio.
La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato come molte difficoltà psicologiche dipendano dalla qualità dei confini relazionali di cui un figlio fa esperienza nella sua famiglia di origine e nei contesti di tutela come la scuola. Saper prendere decisioni, sentirsi efficaci, avere una buona concezione di sé, riconoscere i propri limiti, avere delle passioni congruenti con il proprio essere e trovare degli obiettivi da raggiungere, sono tutte espressioni di una buona cura del confine tra sé e gli altri.
Ma cosa si intende per confine relazionale in psicologia? In sostanza si tratta della capacità di un individuo di saper riconoscere, distinguendoli dai propri, l’integrità e i bisogni dell’altro, accettando anche la possibilità che possa sviluppare sensazioni, emozioni, opinioni e credenze differenti dalle proprie e che possa esprimerle nel pieno rispetto delle stesse, qualunque sia la sua condizione o età di partenza. Un buon esercizio dei confini da parte dei genitori permette all’adulto di esercitare la propria autorità per garantire il benessere e la tutela dei figli anche distinguendo i confini relazionali e consente ai bambini di sviluppare in modo sano e congruente la propria identità.
Esistono diversi tipi di sconfinamento nei riguardi dell’altro e in questi termini è possibile, dunque, per il lettore genitore riesaminare alcune piccole azioni quotidiane di uso comune in questo periodo storico, gesti dove ciò che appartiene ai propri bambini o ragazzi viene trattato come se fosse proprio. Un esempio per tutti potrebbe riguardare, infatti, il mondo dello sharing sui social.
La condivisione di ogni traguardo o piccolezza del proprio ragazzo può essere riesaminata come un’importante violazione del suo materiale di vita, utilizzato come fosse proprio e condiviso con persone che non appartengono al gruppo tutelante della sua famiglia.
In un mondo in cui le emozioni, i sentimenti e gli attimi della vita sono materiale da mostrare ad un pubblico vasto, è importante aiutare il lettore genitore a riconoscere la differenza tra ciò che è proprio e ciò che appartiene al proprio bambino o ragazzo.
Ogni figlio è posto in un gioco di ruoli per cui già sperimenta una possibilità limitata di scelta e l’opportunità che possa esprimersi dipende molto spesso dalla disponibilità del proprio genitore a dargli spazio nel trattare la propria vita. Un adulto che si pone come guida tutelante permette al suo bambino/ragazzo di capire che quelle emozioni, esperienze e vissuti sono materiale suo, che quel traguardo o momento complesso non appartengono a nessun altro al di fuori di lui, aiutandolo dunque a capire i suoi confini e a decidere lui stesso, un giorno, se condividere o meno la sua storia con un pubblico più vasto.
Con il tempo tutti impariamo a capire cosa è più giusto per noi e nel caso dei più piccoli bisogna sia pazientare e restare in attesa che possano esprimersi, ma soprattutto rispettare anche la possibilità di dover godere per lungo tempo o per sempre e solo nel privato della propria casa le emozioni che donano.
Rubrica a cura di:
“Una Stanza per Sé: servizi per il benessere psicologico”, studio di psicologia.
Offriamo consulenza online in tutta Italia e supporto psicologico ad Oria, in prov. di Brindisi.
Ci rivolgiamo ai singoli adulti, bambini, adolescenti o a coppie e famiglie che vogliano scoprirsi, accrescere il proprio benessere, riflettere e prendere decisioni importanti e migliorare il rapporto con sé e gli altri.